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Storia di Isola

Per meglio orientarsi nelle vicende isolesi che discuteremo penso sia utile partire da un riassunto dell’intera storia di Isola.

Nella Valle Scrivia, fin dai tempi più remoti, l’uomo ha trovato un habitat adatto alla sua vita sociale: se non proprio dal Paleolitico, di cui non abbiamo alcun reperto, certamente dalla fine del Mesolitico o dall’inizio del Neolitico, qualche tribù aveva, sulla sponda destra dello Scrivia proprio qui ad Isola, un punto di appoggio. È ovvio che anche la sponda sinistra fosse frequentata, se non altro per la caccia, ma non possiamo con sicurezza affermare che era stabilmente abitata. 

Con l’Età del Ferro è probabile che i villaggi in questo territorio siano aumentati fino ad essere più o meno quelli attuali. Ovviamente non possiamo fare considerazioni sul numero degli abitanti, sulle loro attività, oltre alla caccia, alla pesca, ad una agricoltura e ad un allevamento primordiali. Non sappiamo se producevano ceramiche o le importavano, se avevano relazioni commerciali stabili o un’organizzazione militare insieme ad altre genti.

Forse scambiavano con le popolazioni della pianura e del mare quanto era possibile e che vedessero transitare i primi commerci lungo le strade di crinale.

 

L’arrivo dei Romani cambiò radicalmente la loro vita: forse non troppo velocemente come ci immaginiamo, ma senz’altro nel giro di poche decine di anni gli antichi isolesi furono assoggettati e dovettero rispettare le leggi di Roma. Qualcuno si adattò, qualcuno addirittura si arruolò nelle legioni conquistatrici, qualcuno si isolò maggiormente. La Via Postumia e Libarna costituirono una frattura netta con il passato: non erano più singoli individui o tribù di poche decine di uomini a contestare agli abitanti della valle Scrivia aree di caccia e pastorizia bensì una forte e organizzata nazione, la più potente in Italia in quel momento. Cominciò anche uno spopolamento della montagna, vuoi perché i nuovi padroni preferivano non avere sorprese nelle selve boscose in altura, vuoi perché la moderna civiltà del fondovalle, come tutte le moderne civiltà, attraeva e faceva sperare in una vita migliore. Anche la produzione agricola e l’allevamento cambiarono radicalmente: servivano le terre più in basso, forse era la Via Postumia o altre vie secondarie ad attirare i nostri avi, fatto sta che probabilmente nacque Insula all’incrocio tra Vobbia e Scrivia. Magari ci sarà stato anche un Campolungo sulla sinistra ma dobbiamo attenerci il più possibile agli indizi che abbiamo e Insula è un termine usato spesso e volentieri dai Romani. 

Solo per i secoli dopo Cristo abbiamo dei ritrovamenti in sponda sinistra a Giretta ma sono monete imperiali e queste possono suffragare l’ipotesi di un insediamento tanto come le congetture precedenti: siamo più propensi a pensare a perdite o nascondigli occasionali. I reperti dei Zuncri e di Vermuin-na in sponda destra rimangono invece l’unica attestazione, anche se ancora dubbia, di tombe, insediamenti o tesoretti del periodo Romano repubblicano. Certo, dove oggi c’è Isola e Cantone è difficile ritrovare vestigia antiche: può darsi che con un po’ di fortuna in futuro avvenga e allora tutta questa storia sarà da riscrivere. Ricordiamo comunque che se a Libarna si costruivano teatro e anfiteatro, sui monti si viveva in tuguri e si utilizzavano ancora ceramiche e utensili tipici dell’Età del Ferro.

 

Con la decadenza di Libarna i poteri centrali si allentarono e per vari motivi sociali, politici e ambientali si ebbe una regressione nel campo dell’agricoltura e nella vita di tutti i giorni. La popolazione, diminuita notevolmente, si ridistribuì accentuando l’isolamento che diventava sinonimo di sicurezza; le strade non vennero più mantenute, la foresta si allargò.

Di questo periodo come reperto archeologico a Isola abbiamo i tegoloni. Sono laterizi tipicamente Romani che venivano utilizzati a volte come copertura dei tetti, a volte come tombe. Infatti ne bastavano pochi, magari sottratti da Libarna ormai ridotta ad una cava, per conservare qualche vaso con le ceneri del defunto e poche suppellettili. Con i nuovi aratri e i potenti trattori, a partire dagli anni ’70, alcuni campi cominciarono a restituire questi cocci a Pianassi, Noceto, Casaleggio, Cagnola, Santo Stefano, Montessoro.

Arrivarono in quei secoli anche dei popoli stranieri. Questi però non erano organizzati come i precedenti, anzi, avevano usi e costumi lontanissimi da quelli Romani. In parte si integrarono in parte si stanziarono con la forza: erano comunque, come al solito, dei padroni. Di loro ci rimangono soprattutto i toponimi in special modo sulla destra Scrivia. Sembra che quando gli abitanti di Isola sono pochi e in difficoltà prediligano la zona a levante e non quella a ponente. Oggi certamente non ci rendiamo conto di determinate esigenze: forse perché le ore di sole a Santo Stefano o Piancastello sono maggiori rispetto a Giretta e cima d’Isola e quindi determinanti per la sopravvivenza di chi vestiva malamente; forse i prodotti allora coltivati ne risentivano al punto da condizionare il luogo dove fondare la casa del produttore; forse le caratteristiche morfologiche erano più favorevoli alla difesa. Resta il fatto che i Longobardi o chi per essi dovettero permanere stabilmente e influenzare chi ancora ci abitava perché il nome dei luoghi è tipico sia della loro lingua che della loro organizzazione (citiamo solo Gazzo e Guardia).

Subentrò con i secoli IX, X e XI, una riorganizzazione territoriale più capillare e una accresciuta importanza di città come Tortona e Genova. Vennero probabilmente costruiti i castelli di Monte Reale, Montecanne, Castellazzo di Montessoro non sappiamo da chi, forse dai Vescovi di Tortona, ma non erano la casa del padrone bensì il rifugio della poca popolazione che vi viveva intorno. Genova però sconvolse l’equilibrio, a partire dal 1121, con le conquiste nell’Oltregiogo: non solo perché Voltaggio o Pietrabissara passarono sotto la sua giurisdizione, ma perché anche in questo caso niente fu come prima. 

Aumentò la popolazione per il clima migliore o perché così doveva essere e quindi si dilatarono gli appetiti dei Signorotti, dei Comuni e dei Vescovi, di chiunque per stirpe, religione o denaro avesse da vantar dei diritti. Sono rapporti che non indagheremo profondamente perché materia di specialisti ma una cosa salta all’occhio dai documenti: con il secolo XIII oltre a Genova e Tortona entrano in campo anche città più lontane come Milano e poi Imperi come Francia e Spagna. Da noi gli Spinola, aristocratici ma anche militari e commercianti, si stabilirono tra Ronco, Isola, Pietrabissara e la Val Borbera influenzando fino al 1797 la nostra vita. È l’epoca dei Feudi Imperiali o meglio dello Stato Spinolino al loro interno. 

Ma non saranno tutti soprusi, tasse e ingiustizie: è probabile che una certa indipendenza dalla Repubblica di Genova, dal Comune di Tortona o dal Ducato di Milano, abbia giovato ai nostri antichi contadini; forse ai più intraprendenti ha permesso di valicare il Giovo e tentare la fortuna sui vascelli della Superba o nelle sue colonie. Oppure che qualcuno, con l’emigrazione stagionale, sia riuscito a raggiungere con decenza il saldo annuale del raccolto. 

Addirittura è probabile che gli Spinola, tra 1200 e 1300, abbiano intrapreso un’operazione commerciale tale che ha permesso la fondazione di borghi nuovi come Ronco e Isola, con una precisa volontà urbanistica, di disboscamento e quindi di nuova agricoltura, di collegamento viario attraverso la costruzione di due ponti sullo Scrivia e sul Vobbia e di difesa con i castelli del Cantone e poi del Piano. Castelli che in quel periodo diventarono centro amministrativo e abitazione del Feudatario. I contadini non vi avevano accesso se non in casi eccezionali. Può darsi che tutto ciò sia avvenuto per caso, poco alla volta e perché le condizioni al contorno così volevano. Ma può anche darsi che questi Spinola volessero far fruttare i loro capitali e quindi progettassero e realizzassero un intervento sul territorio che non era solo tecnico ma anche finanziario e che soprattutto era pianificato. Oggi per dare ossigeno alle industrie o al commercio si fanno programmi decennali e si favoriscono gli investimenti con tassi agevolati e quanto altro è utile allo sviluppo: ci rimane difficile credere che nei secoli XIII e XIV l’iniziativa del singolo contadino o di una piccola comunità arrivasse alla determinazione di utilizzare aree boscose per impiantare un nuovo villaggio con caratteristiche costruttive precise, compresa la riassegnazione delle terre e quanto altro comportava in termini tecnologici come la costruzione di un ponte in muratura. Era un’operazione paragonabile a quella fatta alla fine del secolo XX per i grandi quartieri popolari del CEP di Prà, del biscione di Genova o della diga a Bolzaneto. Dobbiamo per forza pensare ad una committenza forte, con idee precise e motivata da una prevedibile produzione agricola o artigianale che permettesse il rientro nel tempo dei capitali impiegati. Senza contare che con i borghi accentrati vi era un maggior controllo del territorio e della popolazione.

Non potevano quindi non essere i Feudatari locali tutti imparentati tra di loro e con interessi finanziari in Genova i promotori di una tale complessa operazione: quegli Spinola che seppero, ovviamente con altri come i Fieschi, tenere la Superba e il Ducato di Milano sufficientemente lontani da queste valli in termini di autonomia al punto che arrivarono a firmare trattati internazionali con un peso diplomatico maggiore di quello che potrebbero avere oggi il Principato di Monaco, la Repubblica di San Marino o il Liechtenstein.

Isola e gli altri Feudi arrivarono alla civiltà moderna sulla scia dei vicini più potenti e come loro capitolarono con l’arrivo di Napoleone.

Dopo i Romani e i Genovesi, i Francesi fecero tabula rasa del modo di vivere e di interpretare la società e i rapporti amministrativi: non solo perché si cominciò a conoscere termini come Libertà, Fraternità e Uguaglianza, magari in modo distorto e confuso; non solo perché il vecchio Feudatario adesso era chiamato cittadino ed a lui succedeva un Maire che almeno era un popolano vero, ma anche perché Napoleone scompigliò l’Europa a tal punto che da noi arrivarono i meno aspettati, cioè quei Piemontesi, che poi erano Savoiardi quindi anche loro Francesi, il cui sogno era lo sbocco al mare e che in comune con noi non avevano né Storia né tradizioni. 

Da quel momento l’isolese, il ronchese, il busallese furono trasformati in italiani attraverso il reclutamento militare, la scuola e quindi la lingua, le strade e la ferrovia.

È l’avvento anche del documento scritto popolare: lettere soprattutto, ma anche manifesti, registri di contabilità nei mulini, atti di nascita e di morte. In questo periodo finalmente non sono solo i notai a lasciare tracce ma gli stessi isolesi che hanno scoperto la scrittura.

 

Dal secolo XIX il nostro paese continuò a dipendere in massima parte dall’attività agricola ma ogni anno che passava mutava il suo assetto sociale: non solo le grandi opere infrastrutturali permisero di raggiungere Genova o Torino in tempi incredibilmente più favorevoli rispetto a pochi anni prima, ma si partecipava con le elezioni alla vita del proprio paese, si discuteva di Garibaldi (e qualcuno come Nicolò Casassa lo seguì in Sicilia) o di Mazzini, circolavano giornali e guide, si ebbero i primi immigrati per lavoro come nelle cave di Pietrabissara. Non era certo una vita facile: l’emigrazione verso le Americhe ne è una testimonianza chiara, ma anche le nostre interviste ai reduci della prima guerra mondiale ci indicano che le case, l’abbigliamento, l’igiene, l’alimentazione tra ‘800 e ‘900 erano incredibilmente arretrati e poveri. Fogne, acqua potabile, luce elettrica arrivarono nel capoluogo ma stentarono a raggiungere le frazioni e la differenza, anche nel dialetto e nel modo di camminare, tra chi viveva sui monti o a fondovalle era notevole. 

Non per niente tra le due guerre il divario era tale che si poteva dire che esisteva un Medioevo montano rispetto alla civiltà di chi risiedeva vicino alla ferrovia o all’autostrada. Il primo e il secondo conflitto mondiale furono comunque, pur nella tragedia dei caduti e dispersi, l’occasione per far conoscere ai contadini un mondo tecnologico neanche immaginato e per molti fu anche la possibilità di imparare un mestiere. 

Solo con gli anni ’70 del secolo scorso lo spopolamento del Comune ha avuto praticamente termine e diventò ragionevole vivere a Isola o Vobbietta o Borlasca e lavorare a Genova. Anzi, qualche cittadino scelse di risiedere, per i più disparati motivi a Isola, indicando quindi che il tenore di vita (compresi i costi) era migliore che a Bolzaneto o Cornigliano. Alla fine degli anni ’90 arrivarono anche gli extracomunitari e la nostra piccola società si è indirizzata verso una sprovincializzazione che non ha ancora termine.

Si ringrazia il Dott. Sergio Pedemonte.

Data: 17/11/2019





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